PINK FLOYD
I Pink Floyd sono stati un gruppo musicale rock britannico formatosi nella seconda metà degli anni sessanta che, nel corso di una lunga e travagliata carriera, è riuscito a riscrivere le tendenze musicali della propria epoca, diventando uno dei gruppi più importanti della storia. Sebbene agli inizi si siano dedicati prevalentemente alla musica psichedelica e allo space rock, il genere che meglio definisce l’opera dei Pink Floyd, caratterizzata da una coerente ricerca filosofica, esperimenti sonori, grafiche innovative e spettacolari concerti, è il rock progressivo. Nel 2008 si è stimato che abbiano venduto circa 250 milioni di dischi in tutto il mondo,di cui 74,5 milioni nei soli Stati Uniti d’America.
ORIGINI: Il gruppo, nato a Londra nel 1965,viene fondato dal cantante e chitarrista Roger Keith “Syd” Barrett, dal bassista George Roger Waters, dal batterista Nicholas Berkeley “Nick” Mason e dal tastierista Richard William “Rick” Wright. Nel dicembre del 1967 si aggiunge al gruppo il chitarrista David Jon “Dave” Gilmour,che si affianca e poi si sostituisce definitivamente a Barrett, progressivamente emarginatosi dal gruppo a causa del pesante uso di droghe e di una forma di alienazione.
CURIOSITA’:
QUELLO CHE (FORSE) NON SAPEVI SUI PINK FLOYD Gli hotel nell’immaginario del rock? Una fucina di aneddoti a luci rosse, piscine colme di ragazze vogliose e di sostanze di ogni tipologia, camere sfasciate, e piccole incredibili leggende metropolitane. Raramente i Pink Floyd hanno fatto parlare di se per questioni di questo tipo, anzi. Era il 1970 ed era appena uscito “Atom Heart Mother”. Waters, Gilmour, Wright e Mason si trovavano a New Orleans per un concerto, quando la loro roba venne rubata. Tutta la strumentazione – dal valore di 40mila dollari, cifra enorme per l’epoca – sparì nel nulla. La polizia le provò tutte, ma di strumenti e amplificatori nemmeno l’ombra. Caddero tutti nello sconforto, il concerto non si sarebbe potuto tenere e qualcuno iniziò a pianificare il ritorno in Gran Bretagna. Poi sbucò una ragazza che lavorava nel loro hotel e disse: “Mio padre lavora nell’FBI, se volete io ci provo…”. Che avevano da perdere? Waters e soci acconsentirono. Dopo poche ore tutta la strumentazione era tornata al proprio posto. Nessuna orgia, niente ragazze vogliose, una storia normale in una carriera che di normale non ha nulla, solo colori meravigliosi, quelli di un arcobaleno senza fine.
I Pink Floyd sono una delle band più amate al mondo e tanto si è detto sulla loro storia. Eppure ci sono ancora aneddoti sconosciuti, piccole grandi curiosità a volte poco note anche allo zoccolo duro. Andiamo a vederne qualcuna: Quando David Gilmour entrò a far parte della band, la loro popolarità non era certo ad alti livelli. La stampa diede a malapena la notizia e la prestigiosa testata “NME” sbagliò persino il nome del nuovo arrivato, scrivendo “Gilmur”.
Nel 1994 la Volkswagen produsse la Golf Pink Floyd. Il fatto che nessuno la ricordi la dice lunga…
Waters non era un amante di erba, acidi o altre sostanze, a differenza di Syd. Non si tirò però indietro quella sera all’Ufo. Erano nel backstage a prepararsi per il live quando comparve Paul McCartney. Si, Macca a vedere i Floyd. Erano tutti eccitatissimi. McCartney stava fumando un joint e lo fece girare. Syd non se lo fece ripetere e quando gli arrivò tra le mani Waters tirò profondamente. Lui che di rado fumava, non voleva certo fare la figura della femminuccia di fronte ad uno dei Fab Four.
Dopo “High Hopes”, ultima traccia contenuta in “The Division Bell”, c’è una traccia fantasma. Aspettando infatti qualche secondo di silenzio, si sentirà partire una conversazione – probabilmente telefonica – tra due inglesi.
Gilmour raccontò di essere un appassionato di fantascienza e che uno dei suoi film preferiti era “2001: Odissea nello spazio”.
“Have a Cigar”, contenuta in “Wish You Were Here”, non fu cantata da un componente del gruppo, ma dal cantautore britannico Roy Harper. Roger Waters aveva le corde vocali a pezzi dopo le estenuanti registrazioni di “Shine On You Crazy Diamond”. Non in molti però sanno che il riff principale della canzone è stato utilizzato dai Dream Theater all’inizio della canzone “Metropolis: Part I” (contenuta in “Images and Words”). Da sempre grandi fan della band, i Dream Theater li hanno omaggiati utilizzando il riff di “Have a Cigar” anche in “Peruvian Skies”, contenuta nel live “Once in a LIVETime” del 1998 e rifacendo dal vivo tutto “Dark Side of the Moon”. In che modo? Basta guardare, ne vale la pena…
I genitori di David Gilmour si trasferirono in America, lasciandolo giovanissimo in Europa. Lui per sbarcare il lunario iniziò a suonare in Spagna e Francia. I soldi però erano pochini. Ammise di esser stato anche tre giorni senza mangiare e al quarto svenne e si risvegliò in ospedale. Per motivi “alimentari” inizò a lavorare come modello.
Stretto il legame col nostro paese. A parte lo storico Live a Pompei, che col suo imponente vuoto e i suoi silenzi voleva contrapporsi al clamore e alle folle chiassose di Woodstock, è rimasto negli annali il Concerto di Venezia del 15 Luglio 1989, un evento monumentale con la band a suonare su un enorme palco galleggiante. Peccato che il concerto fu organizzato male e senza alcun requisito in fatto di sicurezza, igiene e pronto soccorso. Venezia – impreparata per un evento di tale portata – fu devastata da migliaia di persone che non ne ebbero alcun riguardo. Piazza San Marco il giorno dopo sembrava una discarica a cielo aperto. Qualcuno se la prese con i Pink Floyd, come se fosse stata colpa loro se la gente italiana è lo zero assoluto dell’inciviltà e non sa godersi nemmeno un capitolo di storia musicale…
“Atom Heart Mother”? “Un’accozzaglia di robaccia vecchia. So che non dovrei dirlo, ma non è che avessimo le idee troppo chiare”. Cosi parlò Gilmour riguardo il disco con la mucca più famosa della storia del rock.
Gli orologi e le sveglie per “Time”, le casse e i soldi di “Money”, suoni entrati nell’immaginario, ma non in molti sono a conoscenza che i Pink Floyd avevano in mente di creare un album solo con suoni provenienti da oggetti casalinghi. Il nome del progetto era “Household Objects”. Era in cantiere prima di “Dark Side of the Moon” ma fu presto accantonato. L’idea era quantomeno bizzarra, ma da quei suoni registrati ne uscì comunque qualcosa di buono, come raccontò Gilmour: “Ci abbiamo gingillato un po’ intorno. All’epoca realizzammo quei rumori e li registrammo. Passammo un sacco di tempo lavorando con degli elastici tirati contro scatole di fiammiferi. Tutto ciò che ne cavammo fu un nastro a sedici piste con melodici bicchieri di vino. Dita bagnate, un bicchiere di vino, tutto intonato. L’abbiamo usato per l’apertura dell’album Wish You Were Here. È un suono piacevole.”
Il successo planetario di “Dark Side of the Moon” fece quasi più male che bene alla band. Durante le registrazioni di “Wish you were here” sembrava quasi che i membri volessero stare da tutt’altra parte. Il matrimonio di Mason stava andando a rotoli e Gilmour veniva da un periodo di analisi.
Il successo di “Another Brick in the Wall” ebbe risonanza mondiale, divenendo un inno di pace e libertà, al punto da essere messo al bando dal governo del Sud Africa: alle dimostrazioni di protesta contro l’apartheid i manifestanti gridavano “We don’t need no education, we don’t need no thought control”.
SIGNIFICATO NOME:
Dobbiamo tornare indietro al periodo 1963/65 quando il gruppo aveva per frontman Syd Barrett, destinato poi a bruciarsi il cervello per abuso di sostanze stupefacenti. All’epoca il nome era Tea Set, ma storia vuole che nel giro live frequentato anche dai nostri ci fosse un’altra formazione con identica denominazione. Fu allora che proprio Barrett ebbe l’idea di prendere spunto da due musicisti blues (genere che la band suonava all’epoca) di cui apprezzava il suono: Pink Anderson e Floyd Council. Fu così che nacquero i The Pink Floyd Sound.
I BRANI MIGLIORI:
ANOTHER BRICK IN THE WALL | 1979
Storica, divisa in tre tronchi, il pezzo più conosciuto è il secondo.
Adottata per sottolineare il rifiuto, alle autorità, alle metodologie di controllo, a tutte quelle situazioni in cui è facile sottrarre il libero arbitrio all’uomo.
Arnold Layne (1967) ,I Pink Floyd al loro primo singolo, quando avevano ancora un piede nel pop britannico degli anni Sessanta, e l’altro già nella psichedelia creativa che li stava per catturare. Arnold Layne è un travestito che ruba in giro abiti femminili, e l’establishment musicale inglese non gradì del tutto la storia.
Summer ’68 (Atom heart mother, 1970)
Scritta e cantata da Richard Wright, racconta la vita in tour, l’avventura di una notte e il rientro alla norma, in un baraccone di suoni psichedelici che galoppano dal dolcissimo inizio piano e voce all’assolone di tromba:
saltando ostacoli e siepi come fossero caramelle. Stupenda, e che ci puoi fare con un pianoforte.
(Atom heart mother, 1970)
“Se fossi una brava persona, parlerei con te più spesso”. La formula “sefossi-questo-farei-quello” funziona da secoli, dal “s’i fosse foco, arderei ‘l mondo” di Cecco Angiolieri in poi. “If” è una cosa dolce dolce, voce e chitarre, che nel 2003 fu tradotta e cantata da Morgan come “Se”. Nell’ultima strofa, Roger Waters canta ancora “If I were a train, I’d be late” come già nella prima, con meta-consapevolezza della ripetizione: “If I were a train, I’d be late, again”.
SanTropez (Meddle, 1971)
“San Tropez” (scritto san) è una canzone di Roger Waters, con un andamento tra Burt Bacharach e gli Steely Dan. Una leggenda a lungo tramandata vuole che un verso dica “making a day for Rita Pavone”, cosa di cui si era vantata anche l’interessata. In realtà è “making a date for later by phone”.
Us and them (The dark side of the moon, 1973)
Noi e loro, i buoni e i cattivi, lo scontro di civiltà, la riga in mezzo: era tutto già detto, in quest’altra cosa unica e leggendaria da The dark side of the moon (era stata buttata giù da Wright per la colonna sonora di Zabriskie point, da cui poi restò fuori).
Eclipse (The dark side of the moon, 1973)
Quando ancora esistevano gli album, esisteva una bravura nell’individuare il suono giusto, il ritmo giusto, per concludere l’album. Eccolo qua. Quello che alla fine dice “there’s no dark side of the moon really: matter of fact, it’s all dark”, è il custode degli Abbey Road studios, dove fu inciso il disco.
Breathe (The dark side of the moon, 1973)
Epica apertura di epico disco (preceduta dall’introduzione strumentale di “Speak to me”): un neonato piange e qualcuno arriva a suggerirgli di respirare e a prospettargli spietatamente la vita che lo attende. “Corri, coniglio, corri: scava un buco, dimenticati il sole. E quando avrai finito, non fermarti: c’è da scavarne un altro”.
Shine on you crazy diamond (Wish you were here, 1975)
“Remember when you were young? You shone like the sun”. Sono due canzoni – dedicate a Syd Barrett, incasinato e geniale fondatore della band che aveva lasciato nel 1968 – definite in nove parti, e occupano assieme quasi mezz’ora di Wish you were here. Dentro ci succede di tutto, e ogni minuto è una cosa da storia del rock. Il mio preferito è l’attacco del sesto movimento, anzi il passaggio di chitarra che lo introduce, prima di “remember when you were young”.
Wish you were here (Wish you were here, 1975)
Una storia, smentita dallo stesso Gilmour, vuole che lui abbia smesso di fumare dopo aver sentito il colpo di tosse che gli era sfuggito al 44mo secondo della canzone. Un altro mistero riguarda il verso “blue skies from pain”, che in una bella cover degli Sparklehorse assieme a Thom Yorke divenne “blue skies from rain”: che nella serie di opposizioni della strofa, ha in effetti molto più senso. C’era un’intenzione originaria per “rain”, successivamente modificata, e perché? Poi la canzone è un capolavoro vero, ma questo lo sanno anche i sassi.
Comfortably numb (The Wall, 1979)
Questa se la portò Gilmour dentro The Wall da un suo precedente progetto solista. Nella tensione dell’opera, spartita tra ansie e disperazioni, offre uno dei rari momenti di sollievo, seppure illusorio: “there is no pain you are receding…”. Lui in realtà è strafatto e sedato: ma – ehi – il confortevole stordimento delle droghe l’ha provato anche Gianfranco Fini, quella volta in Giamaica. Poi Waters, che scrisse le parole (con Gilmour smisero di parlarsi subito dopo, e avevano litigato come matti su “Comfortably numb”), spiegò che era una memoria infantile di quando si è malati e intontiti e che si riferiva a un senso di alienazione tra la band e il pubblico. Nel 2005 ne fecero una spiritosa versione dance gli Scissors Sisters.
Mother (The Wall, 1979)
Di tutti i gravami e le relazioni distorte che Pink, il protagonista di The Wall, si portava dietro, quella con la madre era una delle più pesanti. Opprimente e insieme ineludibile, qui lui (Waters) le chiede aiuto e consiglio, e lei (Gilmour) lo coccola e tranquillizza come se fosse un bambino. Grande ballata: quello che suona la batteria è Jeff Porcaro.
Nobody home (The Wall, 1979)
Stupenda, dolcissima, e stupendamente cantata da Roger Waters, è il monologo visionario di Pink sul suo stato strafatto, fallito e abbandonato da tutti. Secondo alcune interpretazioni, contiene dei riferimenti non solo a Syd Barrett, ma allo stesso Rick Wright che pure ci suona, ma venne allontanato dalla band durante le registrazioni per casini di cocaina.
The show must go on (The Wall, 1979)
Un minuto e mezzo di disincantata autoironia sullo spettacolo che deve andare avanti, metafora di ogni cosa. Ma la cosa notevole è il coro alla Beach Boys, in cui fu coinvolto Bruce Johnston dei Beach Boys.
The post war dream (The final cut, 1983)
Roger Waters da brividi che presenta il disco dei Pink Floyd dopo The Wall. “What have we done, Maggie what have done? What have we done, to England?”. Maggie è Margaret Thatcher, il disco fu un groviglio di memorie di guerra familiari e attacco alla guerra delle Falkland e ai potenti del mondo (che vengono
immaginati tutti in “una casa di riposo per tiranni inguaribili”, in un’altra canzone).
The gunner’s dream (The final cut, 1983)
Bella bella, commovente, bella. Un sogno deprimente di ricordi bellici – “floating down through the clouds” – e Waters che assesta coltellate all’ascoltatore in ogni spazio lasciato libero dall’assolo di sassofono. “A place to stay, enough to eat: somewhere old heroes shuffle safely down the street where you can speak out loud about your doubts and fears and what’s more no-one ever disappears”
High hopes (The division bell, 1994)
I Pink Floyd senza Roger Waters fecero cose oneste ma ormai superflue. Gilmour è uno bravo, gli altri sanno suonare: i tempi cambiarono, loro no. Tra le cose più piacevoli che hanno fatto c’è il refrain contagioso del pezzone che chiude The division bell, una cosa autobiografica di Gilmour scritta con il consiglio della sua fidanzata Polly.